Attuazione del sequestro giudiziario di ramo d’azienda, poteri di controllo del giudice cautelare, ruolo del custode ed efficace tutela dei diritti del sequestrante in Giur. It., 2011, I, p. 1127

TRIBUNALE NOVARA, 10 giugno 2010 (ordinanza) — QUATRARO Presidente – FILICE Estensore — L.E.F. — L.C. s.r.l. ed altro.

Sequestro conservativo, giudiziario e convenzionale — Sequestro giudiziario di ramo d’azienda — Nomina custode – Poteri di controllo giudice cautelare — Atti di gestione del custode — Ammissibilità — Contestazioni sequestrante — Periculum in mora dedotto dal sequestrante — Irrilevanza (C.p.c. artt. 66, 600, 676, 677, comma 3, 669 duodecies).

Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 677 c.p.c. il giudice, con il provvedimento di attuazione del sequestro giudiziario, o successivamente, può ordinare al terzo detentore del bene sequestrato di esibirlo o di consentire l’immediata immissione nel possesso del custode, mentre non può, in caso di difficoltà o contestazioni; dare con ordinanza i provvedimenti ritenuti opportuni, sentite le parti, non essendo applicabile l’art. 669 duodecies c.p.c. ai sequestri. L’opera del custode deve essere soltanto quella di immettersi nel possesso temporaneo del ramo d’azienda e curarne la gestione senza alcuna facoltà di introdurre questioni inerenti alla pendenza dei contratti in essere e in forza dei quali l’attività aziendale prosegue, salvo che taluno di tali contratti contrasti con una gestione neutra del ramo d’azienda, in attesa della definizione del giudizio di merito (1).

Omissis — L’istanza, sotto tutti i vari profili e riferimenti normativi prospettati, è infondata e come tale va disattesa. Anzitutto, deve essere precisato che l’art. 669 duodecies c.p.c., nel dettare le linee dell’attuazione dei provvedimenti cautelari in genere, contiene, nell’incipit, la clausola di riserva espressa dalla locuzione “salvo quanto disposto dagli artt. 677 e ss. in ordine ai sequestri” e, con ciò, rinvia al detto parametro normativo di cui all’art. 677 c.p.c. che, dettando una disciplina ad hoc sull’attuazione dei sequestri, si presenta, però più asciutto e contenuto: in particolare, dispone la lettera normativa che il sequestro giudiziario si esegua a norma degli articoli 605 (precetto per consegna o rilascio) e seguenti in quanto applicabili (e con l’esclusione della notificazione del precetto per consegna o rilascio nonché della comunicazione e di cui all’art. 608, primo comma); precisa, poi, che l’articolo 608, primo comma, (modo del rilascio) si applica solo se il custode sia persona diversa dal detentore;

ma, ciò che più rileva, il terzo comma dell’articolo de quo si limita a prevedere che il giudice, col provvedimento di autorizzazione del sequestro, o successivamente, può ordinare al terzo detentore del bene sequestrato di esibirlo o di consentire l’immediata immissione nel possesso del custode.

Non è invece prevista l’eventuale fase “interlocutoria” prevista dal citato articolo 669 duodecies per i provvedimenti cautelari diversi dai sequestri: fase in cui, in caso di difficoltà o contestazioni, il giudice dà con ordinanza i provvedimenti opportuni, sentite le parti.

Chiara essendo la ratio differentiae tra le due discipline: il sequestro, in quanto provvedimento cautelare tipico e dai contenuti attuativi rigorosamente contingentati dal dettato normativo (artt. 670 e ss. c.p.c.) non postula quella connotazione di eventuale atipicità nell’attuazione, da cui possano sorgere le difficoltà o le contestazioni proprie di altri provvedimenti cautelari, sopratutto se non espressamente tipizzati dalla legge (articolo 700 c.p.c.);

E dunque, sotto il profilo processuale, non risulta applicabile la disciplina “interlocutoria” con le parti di cui al citato art. 669 duodecies, non correttamente evocata dalla parte istante.

Né è conferente il richiamo all’articolo 610 c.p.c. relativo al processo esecutivo innanzi al giudice dell’esecuzione e superato, per ciò che concerne i sequestri emessi in via cautelare, proprio dalla precipua disciplina di cui all’art. 670 c.p.c., secondo il quale il giudice, nominando il custode, stabilisce i criteri e i limiti dell’amministrazione delle cose sequestrate e le particolari cautele idonee a rendere più sicura la custodia.

E comunque, per mera completezza espositiva, è da rilevare che anche l’invocata disciplina di cui all’articolo 669 duodecies fa riferimento, nella sua applicazione, alle sole eventuali difficoltà o contestazioni che nascano circa le “modalità di attuazione”, con espressa esclusione di ogni altra questione di merito.

Nel caso di specie, l’istante muove una serie di censure al contratto di affitto avente ad oggetto il ramo d’azienda sequestrato, e attualmente pendente tra la società titolare, la L.C. Srl, e una società terza.

È dunque di tutta evidenza che qualsiasi censura attinente la legittimità, od apponibilità, di tale contratto di affitto, che appare regolarmente stipulato e trascritto, non solo non attiene alle modalità di attuazione, tanto meno con riferimento alla disciplina di attuazione del sequestro giudiziario, ma, per vero, non attiene nemmeno al meritum causae che ha ad oggetto, invece, il contratto di cessione “a monte” (ciò è a dire tra la società prima dante causa e la società attuale titolare del ramo: L.C. Srl).

Né può sottacersi che il provvedimento di sequestro giudiziario emesso in corso di causa ha soltanto la finalità di impedire l’eventuale alienazione a terzi del ramo d’azienda nel corso del giudizio, che è finalizzato a vagliare l’efficacia dell’atto di cessione che ha portato il ramo d’azienda nella titolarità dell’attuale proprietaria: il sequestro giudiziario mirando, giustappunto, ad evitare la fuoriuscita del ramo d’azienda dalla sfera giuridico-patrimoniale della società in questione.

Sicché l’opera del Custode deve essere soltanto quella di immettersi nel possesso temporaneo del ramo d’azienda e curarne la gestione, in modo compatibile con l’attività aziendale che nel frattempo deve continuare, e senza alcuna facoltà di introdurre questioni inerenti alla pendenza dei contratti attualmente in essere e in forza dei quali l’attività aziendale prosegue: e ciò a meno che taluno di tali contratti si professi del tutto esorbitante e incompatibile con una gestione “neutra” del ramo d’azienda in attesa della definizione del giudizio: il che, allo stato, non risulta in alcun modo.

Nella sostanza, dunque, l’istanza in scrutinio non appare, per vero, in alcun modo conferente a questioni di “attuazione del sequestro”, sopratutto avendo riguardo alla disciplina prevista per il sequestro giudiziario di cui agli articoli 676 e 677 c.p.c., mirando, piuttosto, a introdurre questioni di merito che, lo si ribadisce, esorbitando non solo dall’attuazione del provvedimento cautelare, ma anche dalle questioni dedotte nel giudizio principale: quali, appunto, le questioni afferenti alla legittimità e alla opponibilità del contratto d’affitto in essere tra la L.C. Srl e O.S. Spa datato 28.04.2010 e iscritto nel registro delle imprese.

L’unico rilievo che, solo tangenzialmente, ha sortito tale contratto nell’ambito del procedimento cautelare è stato quello che la sua esistenza (risultante dalla visura camerale aggiornata di L.C. Srl prodotta proprio dal ricorrente all’udienza 7 maggio 2010) è stata valutata quale indice del periculum sotto il profilo di una imminente alienazione del ramo d’azienda in oggetto: pericolo che l’adottato sequestro giudiziario vale a neutralizzare durante il corso del giudizio: non essendo in alcun modo entrata (né potendo entrarvi) nell’ambito del procedimento cautelare né nell’ambito di quello principale, alcuna valutazione circa legittimità e opponibilità del contratto di affitto in esame.

E del resto, l’unica valutazione che qui rileva è che il mantenimento di tale contratto non si pone in alcun modo in contrasto con le finalità proprie dell’adottato sequestro (id est inibire atti di alienazione fino alla definizione del giudizio): senza alcuna necessità di adottare i provvedimenti di cui all’at. 677 terzo comma c.p.c.: quali esibizione della res od ordine di consentire l’immissione in possesso del custode, che non risulta essere stata ostacolata dall’affittuaria (non essendo pervenuta alcuna segnalazione in tal senso).

E dunque, così reimpostata la questione, e letti gli articoli 676 e 677 c.p.c. , l’istanza deve essere dichiarata inammissibile.

Resta, invece, da esaminare la contestuale istanza di sostituzione del custode ai sensi dell’articolo 66 c.p.c. giusta il quale “il giudice, d’ufficio o su istanza di parte, può disporre in ogni tempo la sostituzione del custode”.

Circa l’esercizio di detta facoltà, discrezionalmente rimessa all’organo giudicante, non sussiste, a quanto consta allo stato, alcuna apprezzabile ragione per il suo esercizio. — Omissis.

(1) Attuazione del sequestro giudiziario di ramo d’azienda, poteri di controllo del giudice cautelare, ruolo del custode ed efficace tutela dei diritti del sequestrante

SOMMARIO: 1. Il caso. — 2. Inquadramento normativo e interpretativo del sequestro giudiziario e finalità. — 3. L’ordinanza in commento.

1. Il caso.

Il socio di minoranza di una società a responsabilità limitata adiva l’autorità giudiziaria per ottenere la de claratoria di nullità, annullamento o inefficacia di un atto di alienazione di rami d’azienda, concluso dalla società pochi mesi prima: l’atto sarebbe stato compiuto dall’amministratore unico senza averne i poteri e in conflitto di interessi.

Nel corso del giudizio di merito lo stesso socio di minoranza apprendeva che i suddetti rami d’azienda erano in procinto di essere rivenduti dal nuovo proprietario.

La circostanza della paventata nuova vendita doveva dedursi dal già eseguito versamento di una cospicua caparra confirmatoria da parte della promissaria acquirente.

Il socio di minoranza, nel giudizio di merito, chiedeva, quindi, di sottoporre a sequestro giudiziario i due rami d’azienda, oggetto della impugnata alienazione.

Il giudice autorizzava il sequestro giudiziario, nominando e determinando i poteri del custode.

Il sequestro veniva eseguito a norma di legge con iscrizione nel registro delle imprese [1].

Successivamente, il sequestrante apprendeva che i rami di azienda sequestrati risultavano essere stati oggetto di un contratto di affitto, stipulato prima dell’emissione del provvedimento di autorizzazione del sequestro giudiziario, ma iscritto nel registro delle imprese in data successiva.

Da parte sua il custode nominato dal giudice riteneva di dover dare esecuzione al contratto di affitto de quo.

Per tale motivo, il sequestrante, ritenendo a rischio di concreta efficacia la misura cautelare ottenuta, depositava l’istanza ex artt. 676, 677, comma 3, 669 duodecies e 66 c.p.c., che il provvedimento in commento ha dichiarato inammissibile e che, conseguentemente, ha rigettato in base alla offerta interpretazione, non condivisibile, delle norme processuali in tema di sequestro giudiziario e processo cautelare uniforme.

2. Inquadramento normativo e interpretativo del sequestro giudiziario e finalità.

Per meglio comprendere l’ordinanza in commento si ritiene opportuno preliminarmente dare uno sguardo allo scenario normativo ed interpretativo delle norme in materia di sequestro giudiziario, precisando che, nella presente nota, si affronterà unicamente la questione decisa dall’ordinanza che si annota relativa all’ipotesi in cui si assumano lesi i diritti del sequestrante [2].

La dottrina prevalente e la giurisprudenza consolidata offrono un’interpretazione estensiva dell’art. 670 c.p.c., ritenendo che la nozione di controversia sulla proprietà o sul possesso debba intendersi in modo ampio e non strettamente letterale e includendo anche gli iura ad rem, cioè i diritti obbligatori fondati su un rapporto contrattuale e miranti alla consegna di un bene determinato [3].

Il sequestro giudiziario potrà essere richiesto a fronte a un’azione personale quale un’azione per la risoluzione di un contratto o di annullamento e potrà cadere su vari oggetti, mobili o immobili, così come su universitas rerum, come l’azienda [4].

Finalità del sequestro giudiziario di cui all’art. 670, n.1, c.p.c. è la temporanea custodia e gestione di un bene quando ne sia controversa la proprietà o il possesso, affinché la situazione di fatto non subisca mutamenti pregiudizievoli, durante la pendenza del giudizio di merito volto ad accertare la proprietà o il possesso [5].

Le questioni afferenti la soluzione delle problematiche connesse alla fase di attuazione del sequestro giudiziario di azienda e del ruolo del custode in tale fase sono rimaste ancora poco esplorate sia dalla giurisprudenza di legittimità che di merito.

La suprema Corte ha precisato che il sequestro giudiziario di azienda è validamente eseguito quando, nei relativi atti, siano indicati gli elementi indispensabili per permettere l’individuazione dell’azienda, non occorrendo la specifica individuazione di tutti i beni che la compongono [6]. Il provvedimento in commento sembra confermare, però, la persistenza di problemi interpretativi, in particolare in relazione agli artt. 669 duodecies e 677 c.p.c., che ne determinano un’incertezza nell’applicazione da cui è conseguita, nel caso di specie, una lesione dei diritti del sequestrante.

La questione non è di poco rilievo atteso che il sequestro giudiziario, misura cautelare di natura conservativa finalizzata ad assicurare la fruttuosità dell’esecuzione in forma specifica [7], si compone anche di una fase di attuazione, che è strumentalmente connessa con la realizzazione della cautela [8], ossia con la provvisoria assicurazione degli effetti della decisione di merito nel senso di scongiurare il verificarsi di situazioni tali da pregiudicarne la futura attuazione, che è la finalità cui il sequestro giudiziario deve mirare.

La fase di attuazione è stata, pertanto e correttamente, definita «un momento imprescindibile per la stessa esistenza della misura cautelare: un momento di una fattispecie costitutiva complessa che si perfeziona attraverso la sequenza autorizzazione-esecuzione» [9].

Il sequestro giudiziario, quindi, è finalizzato a «congelare» una situazione di fatto in ordine ad un determinato bene, affinché la sentenza di merito, una volta pronunciata, possa poi dispiegare i suoi effetti e non sia, per così dire, inutiliter data ed è provvedimento cautelare eseguito dalla parte con le modalità stabilite dall’art. 677 c.p.c. [10].

Tuttavia, tale norma, regolando unicamente le forme con cui eseguire il provvedimento di sequestro, nulla dispone in relazione alla composizione dei conflitti ed alla risoluzione dei problemi che possono sorgere nella fase di attuazione della misura cautelare e pregiudicare i diritti del sequestrante.

Lo stesso giudice del provvedimento in scrutinio definisce l’art. 677 c.p.c. «più asciutto e contenuto», in tal modo riconoscendo a tale norma la portata limitata nel senso che si è detto. La questione è se, per colmare tale lacuna, si possa fare riferimento all’art. 669 duodecies c.p.c. dandone o meno applicazione, così come ha proceduto il giudice estensore del provvedimento in commento, addivenendo però a conclusioni che non paiono condivisibili per i motivi che vedremo.

In dottrina, secondo taluni autori [11] di cui si condivide l’orientamento, in tema di fase di attuazione delle misure cautelari, l’art. 669 duodecies c.p.c. è da qualificarsi come norma di portata generale e paradigmatica, applicabile, quindi, alle fattispecie non espressamente regolate da apposite norme. In relazione alle difficoltà e contestazioni che possono sorgere durante l’esecuzione-attuazione del sequestro giudiziario, secondo questi autori, è necessario operare un distinguo tra questioni comuni e questioni che potrebbero dar luogo alle opposizioni di cui all’art. 615 e segg. c.p.c.: l’art. 669 duodecies c.p.c. potrà trovare applicazione in riferimento alla risoluzione delle questioni comuni, mancando una norma specifica, e ciò anche sotto il profilo della individuazione della competenza del giudice da adire [12].

Secondo questi autori è il giudice che ha emanato il provvedimento cautelare competente a dare i provvedimenti opportuni a risolvere le difficoltà e le contestazioni sorte in sede di esecuzione-attuazione del sequestro giudiziario, atteso che questi, essendo lo stesso che ha concesso il provvedimento, appare il più idoneo ad interpretarlo correttamente e quindi a integrarlo con le precisazioni necessarie, appunto, a risolvere le difficoltà o contestazioni [13].

La suprema Corte, da parte sua, ha definito l’art. 669 duodecies c.p.c. «disposizione di chiusura avente carattere generale» [14] e la giurisprudenza di merito ha confermato che la previsione di tale norma affida l’attuazione del provvedimento cautelare al controllo del giudice che lo ha emanato, il quale ne determina anche le modalità e, in caso di difficoltà o contestazioni, detta gli opportuni provvedimenti [15].

In ragione di quanto sopra esposto, l’art. 669 duodecies c.p.c. sembra poter trovare applicazione, in sede di attuazione del sequestro giudiziario, ogni qual volta la fattispecie al vaglio del giudice non rientri in nessuna delle ipotesi regolate dall’art. 677 c.p.c. e ciò al fine di non lasciare privi di tutela diritti che la meritino.

Alla luce dei principi sopra richiamati può concludersi che, in tema di sequestro giudiziario, il giudice che ha autorizzato la misura cautelare dovrebbe e potrebbe emettere i provvedimenti necessari per risolvere le difficoltà e dirimere le contestazioni sorte in sede di attuazione e prospettate dal sequestrante, affinché la misura cautelare possa, in concreto, assicurare gli effetti del provvedimento e realizzare, quindi, una cautela efficace.

Per raggiungere questa finalità l’organo giudicante, quando sia adito in sede di attuazione-esecuzione del sequestro giudiziario dal sequestrante, non può che qualificare come difficoltà o contestazioni della fase di attuazione del sequestro giudiziario tutto ciò che precluda alla misura cautelare di dispiegare i suoi effetti e realizzare il fine che le è proprio, orientando i proprio provvedimenti in base alle circostanze in fatto prospettate e documentate dalla parte istante-sequestrante senza entrare nel merito delle stesse, posto che i presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora sono già stati valutati sussistere in sede di autorizzione del sequestro giudiziario.

Ricordiamo, in proposito, che il periculum in mora (rectius, opportunità di provvedere alla custodia temporanea del bene sequestrato), in base al quale è possibile emettere un provvedimento di autorizzazione di sequestro giudiziario e orientare i successivi ed eventuali provvedimenti in fase di attuazione, può consistere «in un pericolo anche astratto che i beni controversi subiscano deterioramenti, alterazioni o sottrazione nel corso del giudizio di merito, nonché nella conseguente necessità di sottrarre i beni alla libera disponibilità del sequestrato, allo scopo di assicurare l’utilità pratica del futuro eventuale provvedimento sul merito» [16].

3. L’ordinanza in commento.

In un tale contesto, normativo e interpretativo, il provvedimento in commento non pare condivisibile, da una parte, perché qualifica la circostanza in fatto prospettata dalla parte istante-sequestrante, cioè la stipula di un contratto di affitto del ramo d’azienda assoggettato a sequestro, come questione di merito che esorbita «dall’attuazione del provvedimento cautelare» e, dall’altra, poiché il giudice che ha emesso il provvedimento in commento approda alla conclusione riportata dopo aver escluso tout court l’applicabilità alla fattispecie sia dell’art. 669 duodecies c.p.c. che dell’art. 677 c.p.c.

Il giudice estensore dell’ordinanza che si annota non ha dato applicazione né all’art. 669 duodecies c.p.c., di cui ha fornito una lettura restrittiva basata sul mero termine letterale della norma che non collima con quella offerta dalla dottrina richiamata e dalle pronunce in materia, né all’art. 677 c.p.c., pur ricorrendone i presupposti.

La stipula di un contratto di affitto avente ad oggetto il ramo d’azienda oggetto di sequestro, peraltro iscritto nel registro delle imprese successivamente alla iscrizione della misura cautelare, è da qualificarsi come circostanza in fatto rilevante e inerente proprio alla fase di attuazione di un sequestro giudiziario di azienda.

Il suddetto atto è, infatti, capace in re ipsa di vanificare gli effetti della misura cautelare in quanto non consente al custode l’immissione nel possesso dell’azienda sequestrata perché de facto detenuta da un terzo, ponendosi così in contrasto con le finalità conservative del sequestro giudiziario, tra cui deve annoverarsi anche quella di sottrarre i beni alla libera disponibilità del sequestrato [17].

Per addivenire alla conclusione sopra delineata non è necessario affrontare nel merito la questione afferente la legittimità e l’opponibilità del contratto di affitto de quo al sequestrante, come prospetta il giudice estensore dell’ordinanza che si commenta, poiché la stipula di un contratto di affitto di azienda avente ad oggetto il bene già assoggettato a sequestro costituisce atto di disponibilità dei beni sequestrati, che la misura cautelare ha il precipuo scopo di scongiurare ed evitare, in chiave conservativa.

Il provvedimento de quo non pare condivisibile neppure nella parte in cui, pur riconoscendo che il sequestro giudiziario autorizzato ed eseguito aveva lo scopo di evitare la fuoriuscita del ramo d’azienda dalla sfera giuridico-patrimoniale della società in questione, conclude che il contratto di affitto d’azienda de quo non contrasta con tale scopo.

Pare, invece, che il suddetto contratto, ponendo nelle mani di un soggetto diverso dal custode la gestione del ramo d’azienda assoggettato a sequestro, sottrae de facto tale bene alla sfera giuridico-patrimoniale della società resistente, in tal modo avallando una circolazione di quel bene «svincolata», cioè come se la misura cautelare non fosse stata autorizzata né eseguita.

Il provvedimento in commento vanifica, quindi, gli effetti del sequestro giudiziario, con conseguente pregiudizio del diritto del sequestrante.

Prima di concludere l’esame della ordinanza che si annota è necessaria una ulteriore riflessione in merito al ruolo del custode nel sequestro giudiziario di azienda [18] e ai rapporti tra quest’ultimo e il giudice cautelare.

Diversamente da quanto può accadere quando la misura cautelare colpisca altri tipi di beni, nel caso di sequestro di azienda o di ramo d’azienda la disciplina della custodia riveste carattere determinante, atteso che l’amministrazione di un’azienda o di un ramo di essa non può cessare o bloccarsi per il solo fatto di essere stata sottoposta a sequestro giudiziario: di qui l’importanza della nomina di un custode che deve conservare e, all’occorrenza, gestire e proseguire l’attività aziendale, nel rispetto dei limiti indicati dal giudice nel provvedimento di autorizzazione del sequestro.

Inoltre, gli atti che vengono posti in essere dal custode, dopo la nomina da parte del giudice nel provvedimento di sequestro e l’accettazione dell’incarico, si riverbereranno inevitabilmente e necessariamente sul soggetto che, alla conclusione del giudizio di merito, risulterà vittorioso, e ciò conforta la tesi secondo cui la funzione del custode, nella fase attuativa del sequestro giudiziario di azienda, riveste carattere pregnante [19].

Il provvedimento in esame non sembra cogliere neppure le riflessioni sopra riportate in merito alla importanza della custodia nel sequestro giudiziario di azienda o ramo d’azienda.

Il giudice estensore del provvedimento, rigettando l’istanza proposta dal sequestrante in base alla considerazione che la stipula del contratto di affitto avente ad oggetto il bene sequestrato non è questione inerente l’attuazione della misura cautelare, ma attinente il merito e quindi non esaminabile, non considera che l’esecuzione di detto contratto sottrae al custode nominato la conservazione e la gestione del ramo d’azienda assoggettato a sequestro che rimane, conseguentemente, in capo al terzo detentore.

Il ruolo del custode, nel provvedimento in commento, risulta, allora, sminuito e oltremodo imbrigliato dallo stesso organo giudicante, perché da questo costretto a rivestire un ruolo passivo di mera vigilanza sulla regolare esecuzione del contratto di affitto de quo cui il custode è, tuttavia, rimasto estraneo, per non aver partecipato alla relativa stipulazione, pur coinvolgendo tale contratto proprio il ramo d’azienda sequestrato che egli doveva conservare e gestire.

In conclusione, il provvedimento in commento non pare condivisibile sia che si consideri applicabile anche al sequestro giudiziario, nei limiti enunciati, l’art. 669 duodecies c.p.c., sia che non lo si consideri applicabile, atteso che l’ipotesi prospettata dal sequestrante al vaglio del giudice, per quanto detto, poteva rientrare nella fattispecie regolata dall’art. 677, comma 3, c.p.c. cui, quindi, doveva darsi applicazione.

NOTE

1. Cfr. CORSINI, Sulle modalità di attuazione del sequestro unitario di azienda, in Giur. It., 2004, 1360. Secondo l’autore l’esecuzione di sequestro di azienda avviene mediante iscrizione nel registro delle imprese del provvedimento cautelare affinché si realizzi in un unico contesto e con riferimento a tutti i beni che la compongono, costituendo gli stessi un complesso unitario e ciò sia in relazione all’art. 2556, comma 2, c.c. il quale prevede che i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda siano depositati per l’iscrizione nel registro delle imprese poiché l’ipotesi di controversia delineata all’art. 670, n. 1, c.p.c. può sfociare in un mutamento temporaneo o definitivo della titolarità dell’impresa, sia in relazione all’art. 2196 c.c. a mente del quale l’imprenditore che esercita un’attività commerciale deve precisare una serie di indicazioni riguardanti l’azienda che debbono essere aggiornate qualora mutino e nel termine di 30 giorni. Nell’ipotesi in cui l’azienda è oggetto di sequestro giudiziario il custode nominato dal giudice diviene il soggetto esercente per cui anche di tale cambiamento dovrebbe darsi atto attraverso il deposito del provvedimento di sequestro.

2. In relazione alla posizione del terzo nel giudizio cautelare che in questa sede non è possibile affrontare: cfr. Trib. Verona 28 marzo 1995, in Giur. It., 1996, I, II, 186 con nota di CONSOLO, Intervento del terzo nel giudizio cautelare, reclamo del terzo e pregiudizio da mera attuazione (da farsi valere in altro modo); Id. Milano, 18 giugno 1997, e Id. Alba, 8 luglio 1997, entrambe ivi, 1998, 2312.

3. In proposito v. CANTILLO-SANTANGELI, Il sequestro nel processo civile, Milano, 2003, 9; CAPONI, Il sequestro giudiziario di beni nel processo civile. Profilo storico sistematico, Milano, 2000, 77 e segg; GUARNIERI, Il sequestro giudiziario e liberatorio, in AA.VV., Il processo cautelare a cura di Tarzia, Padova, 2004, 67; FERRI, voce “Sequestro”, in Digesto Civ., XVIII, Torino, 1998; ZUMPANO, voce “Sequestro conservativo e giudiziario”, in Enc. Dir., Milano, 1990, XLII, 113. In giurisprudenza è stato ammesso il sequestro giudiziario nel caso di contestazione da parte di un coerede della quota di un altro coerede rispetto ai beni appartenenti ad un compendio ereditario indiviso: così Cass., 21 luglio 1994, n. 6813, in cui la suprema Corte ha statuito che «la misura cautelare del sequestro giudiziario deve intendersi riferita non solo alla proprietà attuale come è nelle azioni di rivendica, ma anche, conformemente alla ratio della misura, al diritto di conseguirla quale è quello derivante da un preliminare di vendita». Ricordiamo che il sequestro giudiziario può essere chiesto «non solo nel caso in cui debbano promuoversi, o siano state promosse, azioni di rivendicazione, di reintegrazione o di manutenzione, ma anche ove debba esperirsi, o sia stata esperita, azione contrattuale che involga la proprietà o il possesso di una cosa da altri detenuta, poiché anche in queste ultime ipotesi, come nella prima, la controversia annunciata, o già in atto, implica un attuale contrasto sulla proprietà o sul possesso del bene»: così Cass., 7 luglio 1987, n. 5899; Id., 28 aprile 1994, n. 4039; Id., 19 ottobre 1993, n. 10333, in Giust. Civ., 1994, I, 1282. V. in proposito anche Id., 5 gennaio 2000, n. 46, in Giur. It, 2000, 2279 con nota di TORRESI, Tutela cautelare del promissario acquirente e trascrizione del contratto preliminare in cui è stato concesso un sequestro giudiziario a tutela della pretesa alla consegna di un bene oggetto di contratto preliminare. In relazione ai rapporti tra sequestro giudiziario e azioni revocatorie (ordinaria e fallimentare) v. Trib. Santa Maria Capua Vetere, 4 luglio 2000, in Foro It., 2002, I, 1545 con nota di CAPONI, Il sequestro giudiziario: controversia sulla proprietà o il possesso ed efficacia nei confronti delle alienazioni; Id. Milano, 25 novembre 2008, in Fallimento, 2009, 11, 1312 con nota di CONTE, Sequestro giudiziario e sequestro conservativo tra revocatoria fallimentare e revocatoria ordinaria; Id. Genova, 22 settembre 1997, in Foro It., 1998, I, 1997 con nota di FABIANI, Il sequestro giudiziario nell’azione revocatoria promossa dal curatore fallimentare. In merito, infine, al rapporto tra sequestro conservativo e azione revocatoria ordinaria cfr. Trib. Napoli, Sez. dist. Afragola, 5 luglio 2000, in Giur. It., 2001, 2078 con nota di CONTE, Sul sequestro conservativo ex art. 2905, 2° comma, c.c.

4. L’art. 670 c.p.c. contempla espressamente il sequestro giudiziario di azienda; in merito, invece, all’inammissibilità del sequestro conservativo di azienda si rimanda a CONTE, Il sequestro conservativo nel processo civile, Torino, 2000, 164; DI GRAVIO, Il sequestro di azienda, Padova, 1993, 87. In giurisprudenza Trib. Pisa, 20 aprile 1994, in Giust. Civ., 1994, I, 3305, con nota di JACCHERI, Sequestro conservativo di azienda e, in subordine, dei singoli beni.

5. La Cassazione, già in passato, aveva precisato che può richiedere il sequestro giudiziario anche chi prospetti unicamente «pericoli per l’integrità materiale ed economica dei cespiti contesi e quella correttezza della relativa amministrazione cui il sequestro deve intendersi finalizzato ai sensi dell’art. 670 n. 1 c.p.c»: in tal senso Cass., 19 ottobre 1993, n. 10333, cit.

6. V. Cass., 21 gennaio 2004, n. 877, in Giur. It., 2004, 1360 con la citata nota di CORSINI, Sulle modalità di attuazione del sequestro unitario di azienda.

7. Cfr. sulle modalità di esecuzione in forma specifica, MANDRIOLI, voce «Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare», in Digesto Civ., VII, Torino, 1991, 549.

8. V. in tal senso ATTARDI, Le nuove disposizioni sul processo civile, 1991, 264.

9. PoTOTSCHNIG, L’esecuzione dei sequestri, in AA.VV., Il nuovo processo cautelare a cura di Tarzia, Padova, 2004, 522.

10. Il provvedimento cautelare in commento si prospetta, quindi, diverso rispetto al sequestro conservativo, che ha lo scopo di assicurare la fruttuosità dell’azione espropriativa, della quale anticipa gli effetti, pur avendo natura conservativa entrambe tali misure cautelari.

11. Cfr. SALETTI, in AA.VV., Provvedimenti urgenti per il processo civile, a cura di Tarzia, Cipriani, Padova, 1992, 388; GuARNIERI, op. cit., 81; CoRSINI, Il sequestro giudiziario di beni, in I procedimenti sommari e speciali, II, Procedimenti cautelari a cura di Chiarloni, Consolo, Torino, 2005, 928.

12. In tema si rimanda a CONTE, Sequestro conservativo, giudice della cautela, giudice del merito e giudice dell’attuazione, in Giur. It., 2010, 1126.

13. Cfr. VERDE-CAPPONI, Profili del processo civile, Napoli, 1998, III, 361. Una parte della dottrina ritiene anche possibile riferirsi all’art. 669 duodecies c.p.c., stante il suo carattere generale, per ogni aspetto dell’esecuzione dei sequestri che non sia espressamente disciplinato dagli artt. 677 e 678 c.p.c: cfr. SALETTI, op. cit., 388.

14. Così Cass., 12 dicembre 2003, n. 19101, in Giur. It., 2004, 1150 con nota di VULLO , La tutela delle parti e dei terzi nell’esecuzione dei sequestri.

15. Cfr. Trib. Novara, 12 aprile 2007, consultabile sul sito www.novaraius.it, 2007. Tuttavia per alcune distinzioni sul punto tra sequestro giudiziario e sequestro conservativo v. CANTILLO-SANTANGELI, op. cit., 203 e CONTE, Sequestro consenservativo, giudice della cautela, giudice del merito e giudice dell’attuzione cit., 1127 e ivi ulteriori riferimenti bibliografici.

16. Così Trib. Catania, 16 gennaio 2009, in Società, 2010, 4, 495, con nota di GROSSI. La nozione dell’opportunità della gestione temporanea ha dato peraltro luogo ad ampie discussioni. Per una sintesi recente v. CONTE, Sequestro giudziario e sequestro conservativo tra revocatoria fallimentare e revocatoria ordinaria, in Fallimento, 2009, 11, 1312.

17. Cfr. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1968, IV, 1, 205 e DE MATTEIS, La riforma del processo cautelare, Milano, 2006, 598.

18. Secondo l’orientamento preferibile la funzione di direzione, di vigilanza e di controllo sull’attività del custode nonché il potere di sostituzione spettano al giudice della cautela in relazione al dettato normativo di cui agli artt. 676 comma 1, 66 comma 3 e 65 comma 2 c.p.c. Sul punto Trib. Milano, 7 luglio 1992. in Riv. Dir. Priv., 1983, 305, con nota adesiva di TARZIA.

19. Sulla rilevanza degli atti del custode in sede di sequestro giudiziario di azienda ricordiamo che la giurisprudenza ritiene che la gestione del custode dell’azienda sequestrata non comporta mutamenti nel centro di imputazione degli obblighi e dei diritti, che restano in capo all’imprenditore: così Trib. Roma, 15 dicembre 1992, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 1993, II, 707.